La Filosofia e il mondo delle scienze del Filosofo Nicola Castaldo

Nicola Castaldo,giornalista, docente, formatore ed esperto di pratiche filosofiche, nasce a Napoli 1981 e nel 2006 si laurea in Filosofia presso l’Università L’Orientale. 
Nel 2009 si specializza in Consulenza Filosofica presso l’Università Federico II. Dal 2010 si occupa di pratiche filosofiche in collaborazione con la Provincia di Napoli prima e con diversi istituti scolastici della Campania poi, contribuendo a far conoscere in Italia il metodo della Philosophy for children. Dal 2011 è portavoce dell’associazione La Fabbrica della Creatività che promuove e organizza eventi culturali e formativi. Collabora con varie testate giornalistiche ed è autore del blog Nicola Castaldo.

Cosa si intende con il termine Scienza? Quando e come nasce specifica modalità di conoscere il mondo? Se per scienza ci limitiamo ad intendere soltanto le scoperte nel campo delle applicazioni matematiche, nell’ambito dell’astronomia o della medicina, allora molte antiche civiltà come quella egiziana, babilonese o cinese possedevano già un bagaglio di conoscenze notevoli. Se invece con il termine “Scienza” si intende un tipo di pensiero, che si differenzia da tutti gli altri tipi metodi di conoscenza umana, allora non possiamo che dire che il pensiero scientifico nasce direttamente dalla Filosofia nell’antica Grecia.

Il mondo delle Scienze, oggi composto da tanti campi di studio spesso diversissimi fra di loro, e da altrettanti ambiti applicativi che investono, in maniera sempre più pervasiva, la nostra vita, ha, proprio nella Filosofia, il suo punto di origine. Senza il procedimento razionale del pensiero logico, introdotto nella Storia dell’umanità dagli antichi greci, la Scienza come specifica forma di sapere semplicemente non esisterebbe.   Ogni manuale di storia della Filosofia inizia con la presentazione dei pensatori chiamati “Naturalisti” proprio perché si interrogavano sulla Natura (nel senso di realtà prima e fondamentale) e sulla sua origine, ricercando un principio primo da cui far derivare tutta la realtà. I primi naturalisti della storia furono dunque Talete, Anassimandro e Anassimene che , da una piccola città della Ionia, nel VI secolo aC., diedero inizio all’avventura del pensiero filosofico. Per gli antichi greci dunque filosofia e scienza erano sinonimi: filosofo era colui il quale osservava la Natura per cercare di carpirne i segreti. I primi filosofi, infatti, oltre a riflettere sul principio primo di tutte le cose e sul senso del “tutto”, si dedicarono ad una serie di misurazioni di tipo scientifico molto avanzate considerando la tecnologia disponibile ai tempi.

Gli antichi greci, con l’”invenzione” della Filosofia, hanno dunque impresso un carattere del tutto peculiare alla civiltà occidentale che ha indirizzato tutto il suo sviluppo storico, fino ai nostri giorni. L’amore, disinteressato per la conoscenza, da cui nascono la filosofia e quindi la scienza, prende le mosse dalla meraviglia [1]. Aristotele usa il termine meraviglia per indicare la molla che da il via all’indagine di fronte ad un fenomeno che colpisce, un vero e proprio problema da risolvere:

 ..risulta che il nome che è oggetto della nostra indagine si riferisce ad una unica e medesima scienza: essa deve indagare i principi primi e le cause: infatti, anche il bene e il fine delle cose è una causa.[……..]Infatti gli uomini hanno cominciato a filosofare, ora come in origine, a causa della meraviglia. Da principio restavano meravigliati di fronte alle difficoltà più semplici, in seguito, progredendo a poco a poco, giunsero a porsi problemi sempre maggiori: per esempio i problemi riguardanti i fenomeni della luna e quelli del sole e degli astri, o i problemi riguardanti la generazione dell’intero universo. Ora, chi prova un senso di dubbio e di meraviglia riconosce di non sapere; [….]Cosicché, se gli uomini hanno filosofato per liberarsi dall’ignoranza, è evidente che ricercarono il conoscere solo al fine di sapere e non per conseguire qualche utilità pratica[2].

Vero sapere è dunque il conoscere secondo le cause: comprendere i fenomeni le causa vuol dire fare filosofia e dunque, secondo Aristotele, scienza. Si tratta di un atteggiamento critico, che porta a non dare per scontato la realtà che ci circonda, a non accontentarsi dell’opinione comune, la doxa[3], ma al contrario ci spinge a chiederci la causa di ogni realtà senza ricorrere più al mito o alla superstizione per spiegare i fenomeni. La scienza, per come la intendeva Aristotele, aveva lo scopo di risalire alle cause ultime attraverso una concatenazione di ragionamenti razionali detti “dimostrazioni” che devono avere, secondo lo Stagirita, la caratteristica dell’evidenza e della certezza. Da premesse vere conseguono conclusioni altrettanto esatte. Risalendo di premessa in premessa si risale ad alcune proposizioni auto evidenti che non hanno bisogno di dimostrazioni (Principio di identità, non contraddizione e terzo escluso). È dunque la logica che da forma alle inferenze su cui si basano le affermazioni scientifiche sui fenomeni del mondo. Pur essendo un filosofo dedito all’osservazione empirica della natura, Aristotele, è profondamente convinto che sia necessario risalire alle cause prime che si trovano oltre al mondo fisico è sono, dunque , difficilmente osservabili da vicino (causa formale, causa finale). Da qui il procedere prevalentemente deduttivo della scienza aristotelica che durerà per tutta l’età antica e sarà fatta propria dal pensiero medioevale. Proprio nella necessità di andare “oltre” rispetto al mondo fisico, risiede il limite della concezione antica della Scienza: essa finisce per essere metafisica e non più studio della natura.

  1. La filosofia della Natura

Se già a partire dal Basso Medioevo si ha, con Guglielmo da Ockham, una forte critica ai concetti di causa e sostanza, capisaldi della scienza aristotelica, solo con la nuova concezione dell’uomo, della natura e della società, proprie del Rinascimento, la conoscenza inizia un cammino del tutto nuovo che approderà alla Scienza moderna, ovvero quella visione della natura e del suo studio a cui ancora oggi ci riferiamo quando parliamo, appunto di scienza. Con la nuova visione rinascimentale che mette l’Uomo al centro dell’universo e della società, nasce un rinnovato interesse per la natura e indagarne i segreti diventa una necessità assoluta affinché l’uomo possa realizzare i suoi fini nel mondo. L’indagine naturale si trova di fronte ad un bivio durante il rinascimento cinquecentesco: da una parte la magia caratterizzata dalla visione della natura come un tutto animato che può essere penetrata di colpo con mezzi anche violenti per dominarne le forze attraverso incantesimi e lusinghe come si fa con un essere animato. L’altro sentiero che percorre, con maggior frutto, l’indagine sulla Natura rinascimentale, è quello della Filosofia naturale. La Natura in questo caso viene considerata come retta da principi propri, tutti da scoprire. Accantonata la pretesa di penetrare d’assalto i segreti della natura, si fa largo l’idea che la Natura rivela all’esperienza i suoi misteri: Il dominio dell'uomo consiste solo nella conoscenza: l'uomo tanto può quanto sa; nessuna forza può spezzare la catena delle cause naturali; la natura infatti non si vince se non ubbidendole[4].

  1. Nascita della Scienza moderna

L’avvento dell’Età Moderna, con lo sviluppo degli Stati cittadini e il germogliare delle prime Nazioni, pone le basi per la nascita della Scienza moderna. La nuova società borghese dei commerci e degli scambi culturali e materiali, è infatti caratterizzata da un crescente grado di complessità. Le nuove necessità tecniche spingono verso la ricerca di forti innovazioni. Il divario fra scienze teoriche e applicazioni pratiche, risalente ad Aristotele, viene superato con l’alleanza fra scienziati e tecnici. La nascita della Scienza moderna è oggi considerata un evento fondamentale per la storia dell’umanità. Dal punto di vista cronologico essa ha inizio con la pubblicazione dell’opera“Sulle rivoluzioni degli astri celesti” di Copernico (1543) , il padre della nuova astronomia e teorico dell’universo eliocentrico, e si conclude con i “Principi matematici di filosofia naturale” di Newton nel 1687. Tutti i fermenti di rinnovamento, elaborati in epoca rinascimentale, trovano sbocco in una rivoluzione di pensiero senza precedenti che si verifica, per lo più, in questo lasso di tempo. A sintetizzare il nuovo modo di intendere la natura e il suo studio è Galileo. Dalla lettura delle opere del grande scienziato italiano emerge che la scienza ha delle caratteristiche ben definite: considera la natura un ordine oggettivo, che non ha a che fare con dimensioni spirituali o antropomorfe. Questo ordine è regolato da relazioni di causa-effetto governato da leggi immutabili. Altro carattere della nuova scienza è quello di essere un sapere sperimentale basato sull’osservazione empirica dei fatti che confermano o smentiscono le ipotesi circa le leggi naturali. Il linguaggio della scienza è la matematica perché essa si esprime in termini quantitativi (calcolo e misura) sintetizzati in formule matematiche. Questo nuovo sapere, poi, ha la caratteristica di essere intersoggettivo ovvero comunicabile a tutti e accessibile a ognuno. Non più un sapere iniziatico o elitario ma aperto alla comprensione e al contributo di ogni uomo. Il fine della scienza è quello di conoscere le leggi che regolano quell’ordine oggettivo che è la natura al fine di dominare l’ambiente circostante per i fini umani. Da Galileo in poi viene quindi messo da parte il procedere prevalentemente deduttivo della scienza che da Aristotele al razionalismo cartesiano aveva pervaso la scienza e si fa definitivamente a meno anche dell’autorità derivante dalle sacre scritturare o dalle teorie dei grandi pensatori dell’antichità. La scienza per Galileo deve basarsi solo sulle sensate esperienze e necessarie dimostrazioni.[5]

A partire dalla fine del XVI secolo dunque, la distinzione fra Filosofia e scienza diventa netta e ben visibile. Con il passare del tempo questo divario diverrà sempre più ampio perché la scienza ha definitivamente smesso di chiedersi il “perché delle cose”, peculiare della speculazione filosofica, e si è limitata ha comprendere “il come” dei diversi fenomeni osservati. Tuttavia il confine stabilito fra scienza e filosofia è un confine che rimane, nel corso dei secoli, permeabile: non un muro bensì un’interfaccia capace di garantire scambi e contaminazioni fra i due tipi di sapere. La riflessione filosofica sulla conoscenza e soprattutto su quella che si presenta come la “vera conoscenza” (epistéme), prosegue nel corso dei secoli. D’altronde il modello della scienza newtoniana che vede l’universo come una grande macchina dagli ingranaggi immutabili è in grado solo parte dei fenomeni osservabili in natura e, ben presto, entra in crisi. Ciò nonostante la scienza come sapere vero e utile allo stesso tempo rimane il paradigma di riferimento di tutta la storia dell’Occidente fino ai nostri giorni. Dall’Illuminismo, nel XVIII secolo fino a tutto il XIX secolo, si tenta di estendere il metodo scientifico ad ambiti sempre più vasti della società fino a culminare, nella seconda metà dell’800, con l’utopia positivistica di un progresso scientifico senza limiti, capace di risolvere ogni problema della vita del singolo e di tutta l’umanità fino all’instaurarsi di una società scientifica planetaria. L’illusione del progresso indefinito della scienza entra però definitivamente in crisi nel Novecento, quando le conquiste della tecnica (figlie dei progressi scientifici), mostrano il loro lato oscuro. La scienza fornisce alla tecnica mezzi di sterminio di massa sempre più raffinati e minacciosi, fino a prospettare, con l’avvento della tecnologia bellica di tipo atomico, l’annientamento stesso dell’intera umanità.

Il Novecento e la Scienza

La scienza si dimostra dunque ben lontana dal risolvere ogni problema umano e inizia una riflessione sul suo statuto e sulla sua funzione di verità. Negli anni ’20 del Novecento a Vienna filosofi e scienziati si riuniscono per discutere del rapporto fra logica, matematica e verità delle proposizioni scientifiche. Nasce il neopositivismo del Circolo di Vienna che riafferma la conoscenza scientifica come la sola autentica: essa è la sola verificabile con l’esperienza (Schlick). Il nuovo metodo scientifico, dunque, può essere sinteticamente caratterizzato come l’analisi logica di proposizioni e concetti della scienza empirica; in questo contesto alla ragione si assegna un ruolo esclusivamente analitico, di scomposizione concettuale, in quanto non introduce nuova conoscenza: questa deriva, invece, interamente dall’esperienza. Questo paradigma di sapere secondo cui ogni nuova conoscenza deriva esclusivamente dall’esperienza viene però messo sempre di più messo in discussione e il modello conoscitivo basato sull’induzione risulta sempre più limitante. Si passa dunque ad un modello scientifico basato sull'abduzione che è il frutto del momento inventivo, creativo dello scienziato, ed è alla base delle scoperte scientifiche[6]. A partire da questa carica di immaginazione scientifica, si formulano ipotesi generali, le quali, se confermate, diventano leggi scientifiche (pur sempre correggibili e sostituibili) e, se falsificate, vengono scartate. L’abduzione è capace di far progredire la scienza perché è basata sul ragionamento ipotetico e giunge alla conclusione che esiste un fatto diverso da qualsiasi altro osservato, un fatto inedito, capace di rendere naturale e comprensibile un puzzle di dati altrimenti oscuro e impenetrabile. Lo schema del ragionamento per abduzione è il seguente:  

  1. Si osserva C, un fatto sorprendente.  
  2. Ma se A fosse vero, allora C sarebbe naturale.  
  3. C’è, dunque, ragione di sospettare che A sia vero[7].

Anche Karl Popper mette in discussione la scienza basata solo sull’induzione empirica e vede il rischio di una nuova forma di dogmatismo:

un sistema empirico per essere scientifico deve poter essere confutato dall’esperienza[8]. […]mentre la ‘verificazione’ è empiricamente irrealizzabile, la falsificazione può constare di una sola esperienza falsificante; ciò è chiaro nell’affermazione ‘tutti i cigni sono bianchi’: per verificarla occorrerebbe fare esperienza di ‘tutti’ i cigni, mentre per falsificarla basta il darsi di ‘un’ solo cigno nero. Le teorie scientifiche poggiano dunque su assunzioni-base rispetto alle quali i ricercatori ‘decidono’ di concordare.[9]

Tuttavia in quanto esse possono di nuovo essere messe in discussione, la scienza risulta essere una costruzione precaria, che si sostiene su ‘palafitte’: La base empirica delle scienze oggettive non ha in sé nulla di ‘assoluto’. La scienza non poggia su un solido strato di roccia […]. È come un edificio costruito su palafitte[10]. Le scienze empiriche dunque perdono quel carattere di nuova religione che dal XIX secolo in poi avevano assunto. Esse sono sempre condizionate dal vissuto del ricercatore, che non è possibile azzerare, dalla comunità di ricerca in cui si pratica la ricerca e anche dalla società e dai paradigmi scientifici di volta in volta prevalenti. Da quando scienza e tecnica hanno finito per identificarsi, lo stesso pensiero occidentale è entrato in crisi. Si è finito per smarrire quella autonomia del sapere teorico affermatosi secoli fa in Grecia grazie alla nascita della filosofia. Al posto della ragione aperta all’universo del sapere, è subentrato il riduzionismo del Mondo a «mondo oggettivo», escludendo la soggettività, da cui, invece, quella deriva e che non può essere conosciuta con metodo naturalistico-oggettivo.  Ancora oggi il riduzionismo a questo o a quell’aspetto oggettivabile della vita del singolo e della società o addirittura dell’Universo continua a dominare ampi settori della nostra società mentre, alcuni settori della scienza, si pensi alla fisica quantistica, ci aprono prospettive che fino a pochi anni fa sembravano impossibili, recuperando molte idee degli antichi atomisti greci e dei primi filosofi antichi. Le leggi immutabili e necessarie della natura forse non valgono per quei tantissimi settori della Natura e dell’Universo che ancora non comprendiamo.

Filosofia e mondo delle scienze oggi

Oggi la scienza e soprattutto la sua applicazione attraverso la tecnologia, sta rapidamente trasformando il mondo in cui viviamo. I nuovi media tecnologici da un lato contribuiscono a rendere il mondo interconnesso e più informato, dall’altro creano una sorta di realtà parallela, che rischia di recidere i rapporti umani e il senso stesso di comunità. Accanto alle possibilità di attingere ad una conoscenza sempre più immediata si diffondono, attraverso i nuovi media, nuove forme di irrazionalismo, pregiudizio ed esclusione sociale, si radicalizzano le opinioni e ci si disabitua al confronto con chi la pensa in maniere diversa dalla propria cerchia. Il rischio è che il massimo della possibilità di apertura al mondo si traduca, di fatto, in una crescente chiusura. In questo contesto oggi la filosofia, intesa come indagine critica e razionale dei fenomeni della vita umana e della società, ha un ruolo a cui non può abdicare, richiamando ai principi di realtà e di razionalità che le sono propri. Oltre che nel campo della comunicazione, la tecnologia oggi è in grado di ridefinire i confini stessi della vita umana: la scienza medica ha compiuto passi a giganti e, assieme ai grandi benefici per la salute umana, sorgono ogni giorno dilemmi di natura etica sulla sua applicazione. Si pensi alla possibilità di prolungare la vita oltre il suo naturale corso, oppure alla capacità di manipolare la riproduzione umana in modi fino a pochi anni fa impensabili. Quali sono i confini della vita e della morte? Quando è giusto servirsi della scienza per modificare la natura? Quali sono i rischi dell’uso delle tecnologie relative all’ambiente e alla vita del pianeta su cui abitiamo? Tutte queste sono domande a cui le singole scienze non possono rispondere da sole. È necessario un impegno sempre maggiore della filosofia, intesa non solo come epistemologia, ma anche come riflessione etica, sulle nuove frontiere che la tecnica apre di fronte a noi condizionando fino a ridefinire il concetto stesso di umano. Un presidio di pensiero critico e razionale che solo la Filosofia può mantenere nel mondo di oggi per evitare, come suggerisce Habermas, che la tecnica e la scienza diano vita ad una nuova ideologia e ad una società tecnocratica[11]

 FILOSOFIA E MONDO DELLE SCIENZE

  • La Scienza nasce dalla Filosofia nell’antica Grecia: dalla “meraviglia” di fronte ai problemi della vita e ai misteri della natura scaturisce l’indagine razionale basata sulle dimostrazioni logiche (Aristotele). Episteme VS Doxa.
  • Dalla scienza come attività teorica, che va alla ricerca delle cause prime, con la fine del Medio Evo si passa all’empirismo per cercare risposte alle nuove esigenze della società rinascimentale. L’indagine naturale prende la strada della Filosofia Naturale che prevale su quella della magia rinascimentale.
  • Fra il XVI sec e la fine del XVII, si verifica la rivoluzione scientifica: la Natura, che perde ogni connotazione antropomorfa, viene vista come un ordine oggettivo retto da leggi necessarie.
  • Attraverso la lettura delle opere di Galileo Galilei si ricava il procedimento del metodo scientifico: sensate esperienze e necessarie dimostrazioni (Osservazione, ipotesi, esperimento, formulazione delle leggi).
  • La nuova scienza è quantitativa e non più qualitativa,si esprime nel linguaggio della matematica, è basata sulla sperimentazione empirica, è intersoggettiva. Filosofia e Scienza si separano definitivamente.
  • Con l’Illuminismo, durante il XVIII secolo, il metodo razionale delle scienze si estende a tutti gli ambiti della società come critica al sapere costituito. Si rafforza l’”alleanza” fra scienza e tecnica.
  • Nel XIX secolo il Positivismo, corrente di pensiero che prospetta il progresso infinito della società attraverso la scienza, prospetta una civiltà che mette la scienza al primo posto in ogni ambito della vita.
  • Con l’inizio del XX secolo e le terribili guerre mondiali che si susseguono in questo periodo, si perde gradualmente fiducia nella scienza perché la tecnica mostra il suo lato oscuro, capace di distruggere la vita umana e addirittura di mettere minacciare la vita sul’intero pianeta.
  • Dagli anni Venti del Novecento inizia, all’interno del circolo di Vienna, una riflessione filosofica sullo statuto della scienza e si cerca un linguaggio universale, basato sulla logica e in grado esprimere le proposizioni dotte di senso e verità. Il mondo delle scienze si interroga sul suo fondamento e sulla sua missione.
  • Il paradigma del neopositivismo, basato sull’empirismo e sull’induzione come metodo per la scoperta scientifica, entra in crisi. La scienza si scopre come una costruzione in continuo divenire, lontana dal modello di sapere perfetto e assoluto del secolo precedente. La Scienza è continua ricerca.
  • Oggi la Scienza apre ogni giorno nuovi orizzonti sia in campo astronomico che biologico e sociale. Ha sempre più bisogno della riflessione filosofica intesa sia come bioetica che come speculazione epistemologica.

 

[1] In greco antico θαῦμα

[2] Aristotele, Metafisica, 982b-983a

[3] forma di conoscenza che, basandosi sull’opinione soggettiva, non possiede la certezza obiettiva della verità. Il concetto entra nel pensiero greco per suggerire dialetticamente l’esistenza di quella vera conoscenza (ἐπιστήμη) che costituisce il fondamento delle varie dòxai: In questo significato positivo e dialettico, la storia del termine è la storia stessa della scienza nella sua pretesa di assolutezza e di universalità, al di sopra e al di là delle

opinioni.

[4] Francesco Bacone, Pensieri e conclusioni sull’interpretazione della Natura o sulla scienza operativa, UTET Libreria, Torino, 2009 [1975], Classici del pensiero

[5] Galielo, Lettere copernicane, Armando Eitore, 2015

[6] Peirce, Deduction, Induction, and Hypothesis

[7] Silvano Tagliagambe, , La scienza, la “strategia dello sguardo” e l’abduzione

[8] Karl Popper, La logica della scoperta scientifica, 1935, I,6

[9] Ibidem, II,9,11

[10] Ibidem, V,30

[11] J. Habermas, Teoria e prassi della società tecnologica, Laterza, Bari, 1969

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