Cosa abbiamo imparato dal rapporto mondiale sulla felicità 2016 del Professore Leonardo Becchetti

Il testo è tratto dal blog La felicità sostenibile.la Repubblica con autorizzazione dell'autore,Professore Leonardo Becchetti
http://felicita-sostenibile.blogautore.repubblica.it/2016/04/10/cosa-abbiamo-imparato-dal-rapporto-mondiale-sulla-felicita-2016/
 
10 APRILE 2016

L’attenzione dei politici al tema della soddisfazione di vita e del benessere sta inevitabilmente crescendo. E non può essere altrimenti se la scorciatoia dettata dalla pigrizia di guardare solo al PIL fornisce indicazioni sempre meno utili e soddisfacenti. In Irlanda la crescita turbo del 7.5% indicava la facile rielezione del governo in carica. Non è andata così perché dietro quel dato si celano alchimie contabili dell’elusione e l’arretramento di sicurezze e di benessere di ampie fasce di popolazione a partire dalla classe media. L’attenzione dell’opinione pubblica al tema della felicità sta anch’essa crescendo. Il Rapporto 2016 con i suoi dati unici dell’indagine Gallup relativi a campioni rappresentativi in 157 paesi del mondo ha generato in rete quest’anno il doppio delle interazioni rispetto al rapporto dell’anno precedente con richiami e reazioni dalla stampa di tutto il mondo. E dibattiti stimolanti come quello che come estensori del rapporto abbiamo condotto al Cortile dei Gentili con più di mille studenti.

La cosa che colpisce di più la curiosità dei media e del pubblico è la classifica dei livelli di felicità media dei paesi ma non è quella la parte più preziosa che possiamo estrarre dalla miniera di dati contenuti nel rapporto. Il cuore dell’informazione è invece nei sei fattori che spiegano tre quarti delle variazioni di felicità individuali nel mondo. Di questi due sono quelli tradizionali che potevano aspettarci (reddito (non PIL) e salute). Due riguardano invece la vita pubblica (percezione della corruzione e libertà di scelta) e due la sfera di vita individuale dove siamo padroni del nostro destino al di là del nostro benessere economico e della qualità delle nostre amministrazioni (generosità/gratuità e qualità della vita di relazioni).

Il dato peggiore per il nostro paese però è quello della classifica dei progressi/regressi sulla soddisfazione di vita nel delicato periodo che va dalla crisi finanziaria globale ad oggi. In quella classifica siamo gli ottavi tra i peggiori, preceduti solo dalla Grecia e da Egitto, Botswana, Arabia Saudita, Venezuela, Yemen e India. Il dato del Rapporto trova conferma in quello dell’ISTAT che misura il sensibile calo nella quota degli italiani che si dichiarano molto felici a partire dall’anno della crisi dello spread. La scintilla della crisi del paese è stato l’arretramento di benessere economico successivo alla crisi che si è poi tramutato in una “carestia di speranza”. Un problema che dobbiamo risolvere ed affrontare a livello macro (nuove regole per l’eurozona) ma anche a livello micro. Siamo ad un bivio e dobbiamo decidere che tipo di società vogliamo per il futuro. Da una parte l’incubo di una società hobbesiana di uomini senza speranza in perenne conflitto tra loro per una torta di risorse date o in calo, che vedono nell’altro (soprattutto lo straniero) la minaccia al proprio benessere. Dall’altra una società di persone innovative e in relazione che sanno valorizzare i giacimenti di cooperazione, fiducia e capitale sociale per generare superadditività e produrre fertilità sociale ed economica.

Dietro i dati del rapporto c’è una mole sempre più vasta di riscontri empirici sulle determinanti della soddisfazione di vita e della sua ricchezza di senso. Riscontri che testimoniano drammaticamente come la questione sia importante se nella popolazione over 50 coloro che si dichiarano “poveri di senso della vita” hanno probabilità di ammalarsi o di deteriorare le proprie capacità fisiche fino a 40 percento superiori a quelle del resto della popolazione. D’infelicità e di povertà di senso della vita ci si ammala e si muore. Ciò che appare in filigrana in questi studi è che la soddisfazione di vita non cresce spontanea e non è neppure un bene di consumo che possiamo comprare al supermercato se solo lo vogliamo ed abbiamo disponibilità economica. E’ invece paziente ed impegnativo investimento in quelle abilità (cultura, conoscenze, professionalità, sapienza spirituale e nel condurre la vita di relazioni) che riusciamo a conseguire se sappiamo in ogni fase della vita vivere la sfida giusta ponendo l’asticella ad un’altezza che ci stimoli a progredire. Il risultato di quell’investimento è la generatività che è la vera radice della felicità. Come aveva ben intuito l’economista e filosofo John Stuart Mill che per spiegare il paradosso della felicità ricordava “Sono felici solo, credo, quelli che hanno la loro attenzione concentrata su un’oggetto diverso dalla loro stessa felicità, sulla felicità degli altri, sul miglioramento dell’umanità o anche su qualche arte o conseguimento perseguiti con finalità ideali. Mirando a qualcosa di diverso trovano la loro felicità lungo la strada”

[Mill, 1893, pg. 117].

 

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