La cura complessa e collaborativa.Ricerche e proposte di Sociologia della cura di Marco Ingrosso

Aracne Editrice, Roma, 2016 

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Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande "I
CARE". È il motto intraducibile dei giovani americani
migliori: "me ne importa, mi sta a cuore". È il contrario
esatto del motto fascista "me ne frego".
Don Lorenzo Milani, Lettera ai giudici

Lo spirito dell’uomo lo sostiene nella malattia,
ma uno spirito depresso chi lo solleverà?
Il cuore intelligente acquista la scienza,
l’orecchio dei saggi ricerca il sapere.
Proverbi, 18, 14-15

Se ti udrà un medico di schiavi, ti rimprovererà: «Ma così
tu rendi medico il tuo paziente!».
Proprio così dovrà dirti, se sei un bravo medico!
Ippocrate

La vocazione del custodire […] ha una dimensione che
precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti.
Custodire il creato, ogni uomo ed ogni donna, con uno
sguardo di tenerezza e amore […] è aprire uno squarcio
di luce in mezzo a tante nubi, è portare il calore della
speranza!
Papa Francesco, Messa di inizio del
pontificato: Roma, 19 marzo 2013

(estratto)


X. Cura di sé e promozione della salute nel corso della vita
"Curarsi vuol dire orientarsi verso un giusto stile di vita"
(Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra)

1. Dal paradigma preventivo a quello promozionaleI concetti di prevenzione dei rischi e promozione della salute, del benessere, della
qualità della vita sono stati utilizzati negli ultimi trent’anni in modo congiunto o
disgiunto per indicare delle strategie e metodologie d’intervento da applicare in campo
sanitario, sociale, educativo, finalizzate a contenere fenomeni degenerativi e/o ad
ampliare le risorse, le potenzialità, la qualità della vita individuale e collettiva.
Com’è noto, il termine pre-venio indica tanto l’arrivare prima che un evento si
manifesti, quanto la capacità di impedire, ostacolare, evitare che tale evento porti danno.
Esso si focalizza su un danno possibile e probabile, spesso anzi già manifesto e quindi
relativamente conosciuto, di cui si vuole impedire la riproduzione e proliferazione.
Non è chiaro se il termine nasca originariamente in campo sociale o in campo
sanitario. Infatti troviamo, ad esempio, Cesare Beccaria che si fa promotore di un
orientamento preventivista nel campo della devianza sociale, affermando che i delitti è
meglio prevenirli, attraverso interventi di riforma sociale, piuttosto che punirli; anche un
celebre “santo sociale” come Don Bosco sviluppa l’idea di un “sistema preventivo”,
basato sull’aggregazione e l’educazione, che eviti le insidie delle “cattive compagnie” e
responsabilizzi i giovani circa il loro futuro.
In campo sanitario, le origini della prevenzione stanno nell’approccio igienista e di
popolazione che correnti della medicina elaborano fin dalla fine del ‘700, in particolare
per contrastare i fenomeni epidemici attraverso metodiche preventive, come
l’inoculazione prima e la vaccinazione poi, e interventi d’igiene ambientale e personale.
Il concetto di pro-muovo indica tanto un andare verso qualcosa ritenuto benefico,
quanto il favorirne lo sviluppo e la diffusione. L’attenzione, in questo caso, è
concentrata su un obiettivo, uno scopo, un orizzonte verso cui indirizzare un processo di
cambiamento. Nel caso della salute, essa definisce un orizzonte complessivo specificato
dai passi del cammino cui dare priorità. Tali priorità non sono costituite, in primo luogo,
dalle emergenze o dai rischi incombenti, quanto piuttosto dallo sviluppo di potenzialità
personali e/o dal miglioramento di specifiche condizioni di vita e/o da una qualche
trasformazione favorevole degli ambienti di vita quotidiana. I rischi sono considerati
all’interno di questo orientamento, ma non sono isolati da una visione più ampia del
soggetto e del contesto in cui il rischio si manifesta.
Anche in questo caso vi sono coniugazioni tanto sociali quanto sanitarie del
concetto, che tuttavia sono probabilmente più recenti rispetto a quelle preventive. Infatti
la “promozione sociale” indica un avanzamento delle condizioni di vita e di lavoro,
specie dei gruppi svantaggiati, che comincia ad affacciarsi sulla scena sociale solo nella
seconda e, soprattutto, nella terza fase della società capitalistico-industriale, allorché si
prospetta l’idea, ancora una volta riformista, di associare la classe lavoratrice ai benefici
dello sviluppo economico, migliorandone le condizioni di vita.
In campo igienico-sanitario alcuni anticipatori, come in Italia A. Celli e R.
Ottolenghi, iniziano a parlare di “promozione della salute” già negli anni precedenti la
seconda guerra mondiale, ma tale termine viene utilizzato in modo poco definito fino
agli anni settanta (ad esempio, nei primi articoli della 833/78 che indicano gli obiettivi e
la struttura del SSN italiano). È solo nel corso degli anni ottanta che, in sede di
Organizzazione Mondiale della Sanità, viene sviluppata e lanciata una nuova strategia
di salute pubblica che non abolisce la prevenzione, ma la ingloba in un orientamento più
ampio, più radicale (ossia che vuole andare più alla radice dei fenomeni), più
complesso. Le motivazioni della nuova strategia provengono da un’insoddisfazione
crescente verso le politiche sanitarie, che continuano a produrre una crescita della spesa
curativa con effetti decrescenti sul benessere, ma anche da una critica alle applicazioni
educativo-preventive improntate da un orientamento pedagogizzante e precettistico.
La “Promozione della salute”, lanciata nella Conferenza Mondiale di Ottawa del
1986, pone le basi di un approccio ecologico-comunitario ad una “sana politica pubblica
per la salute”. Secondo tale visione, la salute non può essere disgiunta dal benessere
sociale e dalla qualità della vita. Essa va perseguita con politiche coordinate in tutti i
settori rilevanti (ambiente, trasporti, lavoro, tempo libero, formazione, servizi, ecc.),
volte a creare ambienti favorevoli alla salute. Vengono mobilitati tutti gli attori sociali, a
partire dal terzo settore e dalla società civile, che possono contribuire ad una modifica
delle condizioni e degli stili di vita. L’individuo, formato e responsabilizzato, connesso
alle proprie reti formali e informali, partecipa alla costruzione del benessere proprio e di
quello collettivo. I servizi sanitari e sociali si pongono come facilitatori e referenti di
tale strategia complessiva attraverso supporti tecnici e organizzativi.

2. Orientamenti e metodi nell’educazione per la salute
Il nuovo paradigma promozionale ha un immediato riscontro anche nel campo
dell’educazione che virtualmente passa dal modello preventivo-sanitario a quello
promozionale-di salute. Infatti la PdS viene definita come «il processo che mette in
grado le persone di aumentare il controllo sulla propria salute e di migliorarla. Per
raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un
gruppo deve essere capace di identificare e realizzare le proprie aspirazioni, di
soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circostante o di farvi fronte.” (WHO,
1986). Il soggetto diventa dunque un protagonista dei propri percorsi di salute e non
soltanto un recettore delle direttive degli esperti.
Una delle strategie formative indicate nella Carta di Ottawa è quella di sviluppare le
abilità personali durante tutto il corso della vita e attraversando le varie condizioni di
salute: «La promozione della salute sostiene lo sviluppo individuale e sociale fornendo
l’informazione e l’educazione alla salute, e migliorando le abilità per la vita quotidiana.
[…]. È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di
prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di saper fronteggiare le lesioni e le
malattie croniche. Ciò deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di
lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un’azione che
coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma
anche le stesse istituzioni.» (Idem).
Questo nuovo programma di lavoro ha avuto diverse applicazioni e orientamenti
interpretativi. Infatti, in alcune formulazioni, l’educazione alla salute (ES) è arrivata a
concepire programmi di wellness, cioè di vita sana, abbastanza complessi, mettendo
insieme diverse pratiche che configurano uno stile di vita adeguato. In questo caso, il
focus è stato portato su una sorta di “apprendimento ad apprendere” per il quale il
soggetto è in grado di confrontarsi coi rischi via via emergenti, ma anche con le risorse
disponibili, al fine di mantenere e promuovere un equilibrio fra sé, gli altri e gli
ambienti di vita, ottenendo un benessere adeguato e confortevole o contenendo le
conseguenze delle immancabili problematiche emergenti, specie col procedere dell’età.
Tuttavia, nel mainstream della ES sono prevalsi gli orientamenti legati a singoli
comportamenti problematici (carie, fumo, moto, aids, ecc.) o, al più, a specifici campi
applicativi (l’alimentazione, l’attività fisica, la sicurezza stradale, le dipendenze, ecc.).
La conferma di tale orientamenti viene dall’esame dei principali modelli teorici
comparsi via via a supporto del settore1.
Fra questi si possono ricordare le teorie cognitive (ad esempio: Health Belief
Model), che puntano sui cambiamenti di percezione di un comportamento problematico,
le teorie comportamentali (Theory of Reasoned Action, Theory of Planned Behavior),
che lavorano soprattutto sulle intenzioni, ma introducono anche la comunicazione
mediatica per arrivare ad incidere sulle motivazioni riguardanti specifici comportamenti
a rischio. Il modello transteorico di DiClemente e Prochaska (1982), da parte sua, cerca
di sintetizzare più riferimenti modellistici – come quelli rogersiani, del Locus of control,
della motivazione e della self-efficacy - avendo in mente tuttavia sempre l’obiettivo di
un cambiamento comportamentale specifico, attuato attraverso metodologie focalizzate
sull’individuo.
Le teorie contestuali (teoria del contesto di base, modelli ecologici, ecc.), a loro
volta, intervengono sulle interpretazioni soggettive delle norme sociali, specie nei micro
ambienti gruppali frequentati dai soggetti con comportamenti problematici, al fine di
facilitare una fuoriuscita da situazioni di rischio, ma anche per supportare l’auto-stima e
l’empowerment personale e di gruppo.
Le esperienze ispirate alle teorie socio-ambientali, come quelle centrate sui setting
(Scuola che promuove la salute, Ambienti di lavoro che promuovono il benessere,
Health Promoting Hospitals, ecc.)2, si concentrano su diversi aspetti della vita comune e
organizzativa, proponendosi di sviluppare una visione d’insieme dei fattori che possono
influenzare la salute in un determinato ambiente, e quindi sottolineando la necessità di
essere attivi per promuovere il cambiamento.
Le teorie della partecipazione (di tipo civico) si affidano alla mobilitazione locale, a
mutamenti delle politiche e dei regolamenti, all’attivazione di eventi simbolici e di
campagne comunicative per ottenere un coinvolgimento della popolazione.
I modelli strutturali, infine, sono portati ad intervenire sugli aspetti economici e
organizzativi o sui servizi e gli operatori mirando indirettamente a favorire i
cambiamenti di abitudini delle popolazioni. Essi possono usare la comunicazione come
supporto informativo capace di arrivare a larghi strati di utenti per informarli delle
nuove opportunità offerte.
Tirando le somme di questa sintetica rassegna, si può evidenziare che le teorie
cognitiviste e comportamentiste hanno scavato diversi aspetti della psicologia
individuale (motivazioni, intenzioni, auto-efficacia), in un’ottica però sempre centrata
sul compito e non sugli orientamenti generali del soggetto. Per quanto riguarda i filoni
ambientali e contestuali, si può sottolineare che essi, in modi diversi, hanno puntato a
forme di empowerment personale e di gruppo finalizzate al cambiamento di
problematiche specifiche, ma potenzialmente in grado di generare un accumulo di
capacità e motivazioni soggettive atte a farsi carico di altri aspetti problematici presenti
negli stessi ambienti e situazioni di riferimento.
Si deve poi ricordare che, al di là delle limitate applicazioni operative di questi
modelli, specie nel nostro paese, si assiste da tempo al diffondersi di una sorta di
semplificazione e regressione culturale nel campo delle strategie di salute che invoca il
ricorso ad una pedagogia punitiva (ad esempio per i fumatori e gli obesi) o che si affida
alla potenza della comunicazione unilaterale e “persuasiva” di massa o che vuole
“tutelare i consumatori” mantenendo i monopoli degli esperti. Tutti comportamenti che
tendono a non far crescere una consapevolezza e responsabilizzazione personale e
associata, fornendone un opportuno supporto e valorizzazione da parte del sistema
sanitario e di salute, ma optando piuttosto per una induzione dall’alto dei
comportamenti desiderati.
In ogni caso, al di là delle preferenze soggettive e dei meriti dei diversi modelli
d’azione, si può dire che molto poco gli orientamenti promozionali sviluppati finora si
siano preoccupati di promuovere: a) una visione processuale e interiorizzata della
responsabilità personale verso la propria salute; b) una visione generale della salute
capace di tradursi nel cambiamento non solo di singole abitudini o spicchi della propria
vita, ma nell’acquisizione di un insieme di abitudini, pratiche, abilità e orientamenti
attivi sinergici capaci di incidere in modo significativo sul benessere personale, sociorelazionale
e collettivo; c) una visione socio-ecologica e ambientale della qualità della
vita.

3. L’educazione alla salute come lifelong learning
A fianco dei metodi centrati sui comportamenti a rischio o su ambiti specifici, sono
stati avanzati altri concetti e metodi più recenti che sembrano avere, come scelta di
fondo, quella di potenziare le capacità personali in tutte le età e nei passaggi rilevanti
della vita. Fra questi possiamo indicare quelli centrati:
a) sulla ”health literacy” dei soggetti (Kickbusch e Maag, 2007);
b) sulle “life skills” (Bertini et al., 1999);
c) sulle capacità di coping e resilienza in diverse situazioni di difficoltà o passaggio
(Ryff et al., 2012);
d) sulla “self-care” (Ingrosso, 2011a).
Vediamole brevemente nell’ordine.
Com’è noto, la problematica della literacy (o abilità di trattare e utilizzare le
informazioni utili) nasce dalla constatazione che oggi le persone tendono ad assumere
maggiori compiti nell’affrontare la salute e prendere decisioni salutari. Esse necessitano
quindi di un percorso di “empowerment” per poter far fronte a tali esigenze e
rapportarsi col sistema sanitario. Essa comprende, secondo Nutbeam (2000), una
dimensione funzionale (capire e trattare l’informazione sanitaria necessaria), una
interattiva (in termini comunicativi e relazionali coi servizi), una critica (elaborazione
di un punto di vista relativamente autonomo).
Relativamente all’orientamento della life-skill education, esso è stato proposto
ufficialmente dall’OMS già dal 1994 e ribadito successivamente (WHO, 2004)
relativamente all’età adolescenziale, ma esso è altresì ritenuto rilevante sia nell’età
adulta che in quella anziana per far fronte a passaggi evolutivi e problematici nel corso
della vita (Zambianchi e Ricci Bitti, 2013b). Esso parte dalle risorse possedute dal
soggetto per contenere gli effetti nocivi e modificare i propri ambienti di vita in modo
adeguato all’acquisizione di una “flessibilità proattiva”, capace di contenere lo stress e
gestire positivamente le emozioni (Botvin e Griffin, 2004). Esso mira a supportare la
formazione di “identità riflessive” capaci di operare scelte creative e adeguate nelle
varie situazioni che si trovano a vivere.
I temi del coping e della resilienza sono entrati nel dibattito della promozione della
salute a partire dagli studi di A. Antonowski sulla salutogenesi (1996). Questo autore,
partendo anche da esperienze storiche di periodi fortemente critici come quelli dei
conflitti, vede la salute come capacità di far fronte a situazioni acute e difficili nel corso
della vita mantenendo un “sense of coherence” che permette di superarle contenendo le
sofferenze e mantenendo una potenzialità di ripartenza. Anche esse hanno avuto
impieghi sempre più rilevanti negli studi e nel dibattito contemporaneo in
considerazione del mutare delle condizioni di vita nell’epoca della modernità liquida
(Eriksson e Lindstrom, 2008).
Infine la self-care, già autorevolmente indicata nella fase formativa della
promozione della salute in termini di capacità di sviluppare un sapere e delle abilità
personali (Dean, 1981; Lafaille, 1984), trova oggi nuove ragioni d’essere sia legate ad
una crescente crisi di motivazione alla cura (che contrasta con una richiesta di
responsabilizzazione da parte dei servizi alla persona), sia in ragione di una
combinazione sempre più necessaria di promozione della salute e cura di sé nelle varie
età della vita. Essa indica altresì la possibilità, sul piano educativo e operativo, di fare
dialogare cura di sé e cura degli altri esseri viventi, dell’Altro da sé, dell’ambiente
naturale e di vita, sviluppando un orientamento complessivo e integrato verso la salute
(Ingrosso, 2011a; 2011b).
Queste diverse prospettive sembrano concordare su alcuni punti, quali l’idea di una
concezione dinamica e relazionale della salute e di una sua estensione a tutto il corso
della vita. Finora l’educazione sanitaria è stata prevalentemente orientata su una
dimensione organica di base nel ciclo primario e una maggiore attenzione ai “rischi”
tipici dell’adolescenza nel ciclo medio-inferiore e superiore. Lo testimonia bene il
programma nazionale “Guadagnare salute” (Ministero della Salute, 2007) che privilegia
iniziative sui temi nutrizione-attività fisica (rivolti prevalentemente alla scuola primaria)
e alcol-fumo (scuola media inferiore e prime classi delle superiori). Il comparto degli
ultra 18enni è quasi totalmente escluso da ogni intervento, come notano Zambianchi e
Ricci Bitti (2013a); infatti la fascia d’età degli “adulti emergenti” è ben poco conosciuta
nelle strategie di coping adottate rispetto alle problematiche che la coinvolgono, ma,
aggiungiamo, anche relativamente alle scelte di benessere e stili di vita che si affermano
intorno ai vent’anni e proseguono fino al periodo in cui si diventa giovani adulti.
Questo andamento comporta che non vi sia una continua crescita di conoscenze e
competenze nel periodo dall’infanzia alla prima età adulta, ma piuttosto
un’alfabetizzazione che, quasi sempre, rimane frammentata ed elementare. Gli
orientamenti correnti, inoltre, privilegiano nettamente gli aspetti organici, ma lasciano
sullo sfondo quelli psicologici, relazionali, sociali, ambientali. In mancanza di una
visione integrata di tipo bio-psico-socio-eco, si preferisce restare su un terreno più
conosciuto, sperimentato e culturalmente neutrale, come quello degli “stili di vita sani”
(intesi riduttivamente come comportamenti alimentari e di movimento) da mantenere o
difendere. Se non che, gli “stili” vengono fortemente influenzati proprio da aspetti
relazionali (fra pari, con gli adulti), comunicativi (media e, in particolare oggi, social
network) e di uso dei beni di mercato. Essi sono molto più che “comportamenti” a se
stanti, aventi un’incidenza causale sulla salute: sono piuttosto aspetti emergenti di un
complesso di orientamenti di senso della persona. Le motivazioni a comportamenti
potenzialmente dannosi risiedono spesso in tentativi di posizionarsi di fronte ai pari o
ribadire la propria autonomia nei confronti degli adulti, piuttosto che in informate e
razionali scelte di benessere.
Nonostante venga sempre più riconosciuto che gli aspetti emotivi e relazionali,
nonché gli stili di vita accelerati, irregolari e stressati, tipici della contemporaneità,
siano un’importante fonte di problematiche che si manifestano nell’età adolescenziale e
che persistono durante tutto il corso della vita, tale questione viene sostanzialmente
ignorata dai progetti ufficiali di educazione e promozione della salute, perdendo
un’importante occasione di sensibilizzazione e apprendimento.
In ogni caso, la scelta di fondo che l’educazione deve fare è se il suo sguardo debba
essere puntiforme, legato alla problematica specifica di rischio di volta in volta
emergente nel gruppo d’età, o se essa intenda tendenzialmente fornire quelle capacità di
fondo che possano servire nel corso della vita, come la capacità critica, quella riflessiva,
quella di apprendere ad apprendere, di relazionarsi con validi interlocutori, di utilizzare
adeguatamente le risorse ambientali disponibili e via dicendo.
Il tema della salute è fondamentale nella formazione individuale in quanto definisce
una propensione alla cura di sé, degli altri, degli ambienti di vita che accompagna il
soggetto anche nelle fasi successive. Le conoscenze e competenze pratiche dovranno
essere continuamente aggiornate, ed è proprio questa convinzione e propensione che
dovrà essere acquisita nel periodo formativo, insieme alle capacità, conoscenze ed
esperienze capaci di orientare a muoversi nel contesto socio-ambientale in cui ci si trova
a vivere.
L’investimento sul soggetto, già intuito originariamente dalle prime elaborazioni
della promozione della salute, assume per il presente e il futuro un’ulteriore rilevanza e
valenza proprio di fronte ad una tendenziale disorganicità della vita sociale
contemporanea. Di qui l’esigenza di un investimento maggiore, più continuo e
sistematico che rinnovi un’alleanza fra scuola e mondo della salute, allargata anche ad
altri interlocutori di terzo settore, di tempo libero, ma altresì di mercato, allorché essi
siano accumunati da una scelta etica di fondo: quella della salute come bene personale e
bene comune.
In questo senso è necessario pensare ad una educazione/formazione più egualitaria
ed estesa ai diversi gruppi d’età, ma insieme più personalizzata. Una personalizzazione
da intendersi come emergente non da presunti rischi di un gruppo d’età, ma piuttosto
scaturente dalle esigenze avvertite dal soggetto, dai suoi dilemmi di scelta e di senso,
dalle conoscenze già acquisite, dalle problematiche avvertite nella comunicazione
sociale.
In generale, è necessario attivare meccanismi di auto-osservazione, riflessività,
confronto per poter far emergere nuove decisioni e nuovi progetti di vita sana. Ciò è
tanto più rilevante quanto più cresce l’età e l’autonomia dei soggetti. Ad esempio, la
tenuta di “diari di salute”, può stimolare la capacità di auto-osservazione, mentre il
confronto di counseling con una persona esperta e di fiducia può aiutare a ridefinire
pratiche e priorità.
Ciò indica, sul piano metodologico, che l’educazione diventa di volta in volta
formazione, auto-formazione, affiancamento, confronto dialogico, comunicazione
(anche a distanza) orientata al sostegno e all’adattamento attivo. Essa è utile in termini
basici, esperienziali e preparatori in tutta la fase post-infantile e adolescenziale, ma essa
diventa particolarmente importante in quella degli adulti emergenti, nel passaggio ai
giovani adulti e in altri momenti topici di svolta del ciclo di vita e delle esigenze poste
dall’evolversi del benessere e della salute. In questo senso si dovrebbe parlare di
lifelong learning health promotion che si pone l’obiettivo di supportare una lifelong
self-care.
Il riferimento alla lifelong learning indica l’esigenza di un apprendimento continuo
nel corso della vita sostenuto da una combinazione di percorsi formativi formali,
informali e autogestiti (Aleandri, 2011). Uscendo da un’ottica esclusivamente legata
all’aggiornamento professionale (come finora è stata prevalentemente intesa), la lifelong
learning health promotion dovrebbe perseguire un obiettivo di fondo delle “società
della salute”: quello della salute come bene personale e bene comune, che scaturisce dal
nucleo relazionale triadico soggetto agente-sistema di promozione e di cura-ambiente di
vita. In altri termini, gli apprendimenti necessitati dai mutamenti di età della vita e
compiti di sviluppo del soggetto, nonché stimolati dai mutamenti ambientali, sono
mediati di un complesso di opportunità formative, aiuti, risorse che operano come
supporto della self-care, ma anche, quando necessario, come cura socio-sanitaria
organizzata. In questa ottica, anche le tecnologie individualizzate di monitoraggio - oggi
in via di diffusione come gadget elettronici (self-traking) - e di comunicazione
personalizzata attraverso reti di consulenza e mutuo aiuto, potrebbero giocare un ruolo
utile nei confronti della lifelong self-care, se gestite in modo auto-osservativo e
riflessivo, e non finalizzate a prestazioni performative (come nella lettura corrente).

4. La salute come cura di sé e degli altri
Come si è visto, l’apprendimento a corto raggio adottato dai modelli promozionali
più diffusi non ha puntato all’acquisizione e interiorizzazione di principi di
responsabilità, motivazione di fondo al benessere, self-efficacy che potessero supportare
i soggetti nel corso della loro vita, ma invece si è focalizzato sul cambiamento di singoli
tratti comportamentali. Viene quindi a mancare l’obiettivo e la strategia di lunga durata
che porta l’individuo a porsi come regolatore di sé e, insieme, come soggetto attivo, in
feconda interazione con l’ambiente e con i cambiamenti che questi propone.
Tale carenza è particolarmente evidente negli adolescenti: quello che manca a molti
giovani in crescita non è solo la scarsa attenzione a non farsi del male in specifiche
situazioni, ma soprattutto la consapevolezza di sé in termini corporei, emozionali, etici
che, mantenendo aperta la dimensione esplorativa e avventurosa che caratterizza questa
fase della vita e scontando le incertezze e gli errori possibili, li avvii però alla ricerca di
un equilibrio dinamico col proprio corpo, con gli altri e con gli ambienti di vita che sia
fruttuoso in termini di energia, benessere, voglia di vivere. Un obiettivo certo non facile
in questa fase, ma scarsamente preparato e perseguito nell’infanzia e pre-adolescenza
attraverso il concorso di più agenzie formative: scuola e famiglia in primis, ma anche
gruppi educativi extrascolastici e aree dedicate dei media.
Tale carenza è evidente anche nella fase della vita dell’”adulto emergente”
(Zambianchi e Ricci Bitti, 2013b), ossia dei giovani che fanno le prime scelte autonome
sugli stili di vita, che finora è stata scarsamente indagata e affrontata se non come
estensione delle incertezze e “cattive strade” adolescenziali.
Tale sottovalutazione ritorna però anche nella vita adulta. Se è cresciuta l’attenzione
al benessere in larghe fasce della popolazione, tuttavia essa sembra molto concentrata in
certi campi (come quello delle diete) e con esiti non molto soddisfacenti.
In tale mare magnum s’inseriscono molti “imprenditori del benessere” che attirano
l’attenzione su proprie offerte mirate (integratori, creme, centri, soggiorni, ecc.), spesso
decantate come miracolose. Pochi i riferimenti credibili per sviluppare un’attenzione a
più vasto raggio e di più lungo corso, pochi i supporti alla propria auto-elaborazione
partendo dal contesto e dai vincoli che la vita di ciascuno pone. Quindi, come parlare di
“stili di vita sani” senza la capacità, l’intenzione, la possibilità di definire un quadro di
riferimento adeguato e personalizzato?
È in questo mancato passaggio che si situa l’introduzione del concetto di cura anche
relativamente alla salute e benessere. Il “curar-si” indica un’attenzione e sollecitudine
verso l’auto-equilibrio e l’adattamento che non deve essere confusa col narcisismo ma
piuttosto con la responsabilizzazione e la consapevolezza. Migliorare i saperi sulle
proprie personali caratteristiche, specificità, fragilità conferisce un senso di autopercezione
e autonomia che è alla base anche della comprensione dell’altro in termini di
conoscenza ed empatia. Infatti, come già notava Ricoeur (1990), la mancanza di un
orientamento alla presa in cura di sé risulta simmetrico alla scarsa attenzione all’altro e
agli altri, alla conoscenza delle loro esigenze e reazioni, alla scarsa valorizzazione di
una pratica e di un’etica dell’aiuto volontario e responsabile, alla trascuratezza per la
cura degli ambienti comuni.
Questa simmetria e reciprocità indica però anche che la cura di sé può crescere
attraverso esperienze di cura dell’altro, degli altri esseri viventi, dell’ambiente. Si tratta
di un campo connesso e permeabile in cui si sviluppano processi analoghi. Il racconto di
una esperienza che ci riguarda può permetterci di capire ciò che l’altro ha vissuto in
modo simile, e viceversa. Questa “estensione laterale delle componenti astratte della
descrizione” viene indicata da G. Bateson (1979, p. 192) come abduzione: “La
metafora, il sogno, la parabola, l’allegoria, tutta l’arte, tutta la scienza, tutta la religione,
tutta la poesia […]: tutti questi sono esempi o aggregati di esempi di abduzione, dentro
la sfera mentale dell’uomo.» (Idem). Ciò sembra indicare che sperimentare
personalmente una relazione di cura in un campo (in uno dei due lati dell’interfaccia)
permette di comprendere la struttura del curare e le emozioni che si generano nel
praticarla anche in altri: in altri termini, curare un gatto può aiutarmi a capire come
curare quella parte debole e bisognosa del “me stesso”.
Sintetizzando queste prime osservazioni, si può affermare che il tema della cura si
può articolare in cinque campi pratici ed educativi (cura di sé; cura degli altri; cura
degli ambienti di vita comune; cura degli esseri viventi non umani; cura degli ambienti
naturali). Questi campi, pur distinti, sono legati fra loro dall’esigenza di sviluppare nei
soggetti in crescita degli habitus che diventano sempre più profondi e sicuri con
l’accumularsi delle esperienze e della riflessività. In questo senso, vi sono degli obiettivi
comuni del lavoro educativo nei diversi campi, in particolare quelli ai quali gli attuali
modelli teorici e operativi hanno prestato poca attenzione, ossia:
1. progressiva enucleazione di un orientamento di fondo personale basato sulla
responsabilità, la consapevolezza, le competenze di coping, capace di far
guadagnare al soggetto un proprio assetto ed equilibrio, regolando la vita
quotidiana; un orientamento che includa anche la disponibilità a confrontarsi con
gli imprevisti, le difficoltà, i mutamenti, non sempre positivi, che la vita può
riservare;
2. progressiva consapevolezza della rilevanza delle dimensioni relazionali, sociali,
ambientali della promozione della salute e benessere; quindi della importanza di
curare in modo corresponsabile le dimensioni intersoggettive e ambientali della
qualità della vita;
3. progressiva definizione di una visione generale ed evolutiva del benessere,
capace di connettere i diversi campi verso i quali esercitare una cura personale e
collettiva, in interazione con la più generale evoluzione culturale e sociale del
contesto societario.
Per raggiungere tali obiettivi, senza dubbio complessi ma fondamentali, sarà
importante prestare attenzione alle interazioni e ai processi che legano il campo della
cura di sé agli altri. Da una parte, senza un equilibro e una cura di sé non vi è spazio per
un’attenzione e cura degli altri o una disponibilità all’aiuto. Ma è anche vero che spesso
l’attenzione all’altro è un potente strumento della cura di sé (come evidenziano le
esperienze dei self-help group). Allo stesso modo un’educazione all’ambiente fine a sé
stessa, si è osservato, non riesce ad incidere sugli stili di vita personali, ma, per contro,
la cura degli animali e delle piante o la semplice immersione in ambienti naturali porta
spesso a significativi accumuli di energia, benessere e qualità del vivere. È dunque
importante prestare attenzione alle sinergie dei diversi campi e forme di cura, che
possono portare positive ricadute generali sul soggetto e apprendimenti laterali, per
analogia e abduzione, fra un campo e l’altro.

5. Educare alla cura: sfida e opportunità
Esaminiamo ora più a fondo i campi della cura che abbiamo individuato sviluppando
alcune riflessioni introduttive orientate ad impostare un discorso educativo sulla
promozione della salute e cura di sé nel corso della vita rivolto principalmente agli
adolescenti e giovani adulti emergenti

La formazione alla cura di sé3
Per quanto riguarda la self-care, si può ricordare che già in epoche antiche furono
elaborati diversi corpus organici di saperi volti a sviluppare un repertorio di conoscenze,
pratiche e regole di vita da assumere da parte di chi voleva darsi un progetto di vita sana
e buona (v. cap. I). Nella modernità invece la medicina vira verso la visione scientificopositivistica
della patologia dismettendo l’orientamento semi-olistico alla vita salutare
che aveva sviluppato nei secoli precedenti. Alcuni autori del secolo XIX°, come W. W.
Jaeger (1959), cercano, attraverso la ginnastica, di ritornare alla Paideia, ossia alla
pedagogia classica pratico-morale, ma, in generale, viene persa la visione integrata della
vita sana che i manuali umanistici avevano cercato di rinnovare assumendo il meglio del
pensiero medico e di quello filosofico applicato al vivere quotidiano.
In tempi recenti, un significativo cambiamento di orizzonte si ha a partire dagli anni
ottanta del XX° secolo attraverso l’elaborazione di concetti come quelli di promozione
della salute, self-care, empowerment, qualità della vita, wellness che rivalorizzano la
responsabilità personale nella definizione degli stili di vita salutari, ma insieme il ruolo
delle politiche e degli interventi collettivi nella creazione di ambienti favorevoli alla
salute. Tali concetti hanno avuto una incubazione nel corso degli anni ’60 e ’70: in
particolare si deve all’epidemiologo Halbert L. Dunn, la proposta del concetto di “highlevel
wellness,” definito come “un metodo integrato di funzionamento che è orientato
verso la massimizzazione del potenziale di cui un individuo è capace”4.
Questi orientamenti, che hanno avuto sviluppi teorici e applicativi molto
diversificati, evidenziano la riscoperta di una visione post-dualistica, attiva,
promozionale del ben-vivere orientato alla creazione di condizioni favorevoli negli
ambienti di vita e nel rapporto con la natura che si è sviluppata nei decenni recenti5.
Tali proposte non hanno portato ad un consenso condiviso intorno ai concetti di vita
sana, qualità della vita e wellness nella situazione contemporanea (Andreoli, 2016).
Essi hanno però sviluppato un campo tematico e applicativo, nonché un orientamento
generale volto alla promozione del benessere attraverso il vivere quotidiano. Tale
orientamento parte dalle conoscenze scientifiche disponibili in varie aree (come la
nutrizione, le scienze motorie, la psico-neuro-immunologia, ecc.), ma cerca di ampliare
la propria visione e i propri metodi con un’attenzione alle biografie, ai percorsi di
salute, alle interazioni fra diverse dimensioni del ben-vivere. Esso ambisce ad integrare
anche gli aspetti simbolici, culturali, spirituali nella ricerca del benessere, rendendola
una dimensione fondante e caratterizzante della vita personale nelle società della salute,
evidenziando i significati collettivi e i riflessi positivi sui modi di vita che avrebbe
l’adozione di stili di vita sostenibili e sani.
In considerazione di questo stato dell’arte, quali assunzioni si possono ipotizzare
nella fase formativa iniziale della vita personale? È possibile avviare le nuove leve ad
una salutogenesi che interiorizzi le motivazioni del proprio prodursi a partire
dall’esperienza quotidiana che il soggetto vive?
Partiamo da un esempio pratico. La mia generazione ha vissuto la prevenzione del
fumo come il principale obiettivo dell’educazione sanitaria in ragione dei forti danni
attesi generalmente in età matura. Scarsa attenzione si è invece posta agli effetti
sgradevoli e alle alterazioni delle performance psico-fisiche già nel presente dei soggetti
fumatori, per non parlare delle costrizioni alle libertà altrui (non fumatori inquinati a
forza) e ai danni del fumo passivo. È stata quest’ultima la motivazione che ha portato ai
maggiori risultati dopo decenni di interventi nelle scuole scarsamente fruttuosi, senza
però che ciò sia stato sufficiente ad inibire l’avvio al fumo di quote ancora considerevoli
di giovani. Tale caso esemplare indica che è stata pagante l’inversione delle motivazioni
dal danno futuro alla situazione presente (danno inflitto ora ad altri, spesso contro la
loro volontà). Non si coglie però ancora il danno su di sé, ad esempio, in termini di
limitazione delle potenzialità di respiro (e quindi delle performance fisiche) o di
accresciuta vulnerabilità ai fattori inquinanti. Soprattutto, agli occhi di molti
adolescenti, il piacere del benessere non sembra paragonabile al piacere della
trasgressione o dell’adesione ai comportamenti in vigore nel gruppo dei pari.
Dunque è possibile partire dalle esperienze del presente, dagli obiettivi che già ora
un giovane può apprezzare per limitare l’appeal di comportamenti nocivi?
Ragionamenti simili, anche se legati a diverse componenti culturali e sociali, sono quelli
che si riferiscono alla forte inversione dei ritmi di vita praticata da molti giovani che
hanno assunto l’abitudine ad uscire a mezzanotte per vivere la notte al posto del giorno,
e non come fatto occasionale, di festa o di vacanza, ma come dato normale e frequente,
con significative ripercussioni sugli impegni quotidiani oltreché sui rischi che alcuni
corrono negli sballi del sabato sera (ma anche del giovedì, del venerdì, ecc.!). Non è il
caso di lavorare sui ritmi di vita - che coinvolgono quasi tutti i componenti di una e più
generazioni -, piuttosto che solo sui rischi, che pure sono preoccupanti? Tale lavoro di
fondo non potrà man mano ridurre le occasioni di incidenti e soprattutto diffondere altri
modi di vita fra i giovani?
Vi è da chiedersi se l’educazione al ben-vivere non debba partire dall’esperienza e
dal quotidiano per portare ad acquisizioni che restano, a piccole tecniche (ad esempio di
rilassamento e rinforzamento) che possano stimolare il desiderio di accrescere il
patrimonio pratico-cognitivo di cui si dispone. Puntare sul concreto e il pratico può
forse far riacquistare qualche spazio oggi occupato dall’enfasi sul virtuale e l’apparire.
Pratiche che devono avere un alone emotivo piuttosto che solo cognitivo, dato che non
si apprende e non si fa proprio senza un’emozione che connota ciò che si fa e che si
pensa giusto. Dunque è necessario un significativo ripensamento di metodo e di
obiettivi rispetto alle modalità tradizionali ma anche a molti “innovativi” progetti di
educazione alla salute.

Pratiche di cura degli altri
Quando parliamo di “cura degli altri” possiamo riferirci a diversi esempi che
possono attraversare la vita di un giovane e adolescente: l’esperienza di un familiare, di
un compagno, di un vicino che stanno attraversando un periodo difficile o una malattia.
Sono occasioni che possono portare ad intensi coinvolgimenti emotivi spesso vissute da
soli o fra pari. Ci si può chiedere se e come sia possibile mettere in conto di dare ascolto
e spazio elaborativo a queste situazioni facendole diventare preziose occasioni di
riflessioni fra pari (Lizzola, 2002).
Un altro campo educativo rilevante è quello dell’aiuto volontario prestato per
motivazioni solidaristiche nei confronti di soggetti con specifiche esigenze e quello dei
servizi socio-sanitari di cura che svolgono un ruolo fondamentale nella protezione delle
persone e delle collettività. Alcune associazioni extrascolastiche (come, ad esempio, il
movimento scout) e di solidarietà sociale (come le associazioni di volontariato)
svolgono un meritorio lavoro di avviamento di giovani all’assunzione di responsabilità
nei confronti di persone disabili o con specifici bisogni. Tuttavia, la maggior parte delle
nuove leve non riceve un avviamento di questo genere e resta molto lontana
dall’includere la cura degli altri nel proprio stile di vita.
Un terzo settore che potrebbe avere inedite valenze educative potrebbe essere quello
dei servizi, progetti e professioni di cura. Essi costituiscono una dotazione
indispensabile alla vita sociale, articolata per aree, saperi, professioni di cui la maggior
parte della gente (specie giovani) conosce poco o nulla. Nell’ottica della cittadinanza
competente ci si può chiedere se non sia possibile pensare a visite guidate, stage
formativi, incontri utili ad una informazione sul campo, ma anche alla scoperta di
qualche vocazione personale da sviluppare nei successivi passi formativi. Perché non
pensare di fare dei servizi sociali e sanitari un grande campo di esperienze formative
attraverso cui i giovani possano toccare con mano come è organizzata la cura collettiva,
ma soprattutto come tanti uomini e donne operano con motivazione e professionalità?
La cura degli altri può diventare un interesse trasversale fra varie agenzie formative,
un luogo di apprendimento della health literacy, oltre che di formazione personale, e
così avviare i soggetti ad una capacità relazionale con gli operatori e gli ambienti di
care & cure che attualmente è fortemente carente e trascurata.

La cura degli ambienti di vita quotidiana
Il senso del bene comune è ben rappresentato dalla cura degli ambienti in cui si vive:
la casa, la scuola, il parco giochi, la strada, il quartiere e via dicendo. Ambienti
degradati corrispondono ad una cultura locale che non ha elaborato un’attenzione e una
responsabilità condivisa per gli spazi pubblici e comuni che vengono rimandati ad
un’entità lontana e assente, se non ostile (come lo Stato, il Comune, il Dirigente
scolastico e via dicendo). Diverse osservazioni sociologiche sui quartieri ghetto hanno
evidenziato che ogni finestra rotta che non viene riparata indica l’assenza di attenzione e
controllo del territorio che sollecita ulteriori atti vandalici e di degrado. Per contro, la
percezione di ambienti esteticamente equilibrati, ordinati e significanti, sentiti come
propri, porta a forme di identificazione con simboli e luoghi.
Alcune esperienze partecipative (di tipo progettuale, decisionale o ludico-espressivo:
Baraldi, 2006) hanno evidenziato la possibilità di coinvolgere adolescenti e giovani in
attività mirate al vissuto nel proprio ambiente con finalità civiche e di benessere. In ogni
caso si tratta di passare attraverso un fare che è insieme pratico, emotivo ed estetico per
poter sviluppare il senso di essere parte di un luogo, territorio, comunità considerato
come proprio, generante: radici e piccola patria a cui sentirsi legati.

Pet care
Negli ultimi anni è diventato maggiormente conosciuto e diffuso il termine di pet
therapy e le attività ad esso correlate. Non molti hanno però chiaro che si tratta sia di
attività di A.A.A. (Attività Assistite con Animali), ossia di tipo educativo-ricreativo, che
di T.A.A. (Terapie Assistite con Animali), finalizzate al miglioramento di disturbi tanto
fisici e motori quanto psichici ed emotivi. Persino in alcuni ospedali e centri di cura (in
particolare per bambini e anziani) si è permesso l’entrata e il rapporto con animali per
l’effetto emotivo e di benessere che essi portano. Perché non pensare all’animale come
un veicolo di comportamenti di cura e di educazione al buon rapporto con un altro
essere senziente?
È qualcosa che molte famiglie già fanno (tranne poi trovarsi in grossi problemi di
gestione, ad esempio durante le vacanze), così come, si è detto, alcuni insegnanti delle
scuole primarie. Tuttavia molto diverso sarebbe se una tale pratica venisse incoraggiata
attraverso opportuni spazi e facilitazioni, con una legittimazione che ora non c’è, magari
con un fare collettivo e imitativo nel gruppo dei pari.
Nel presente questa pratica dovrebbe trovare una forte legittimazione nella necessità,
sempre più avvertita, di incoraggiare atteggiamenti di caring nelle giovani generazioni,
con benefici per loro e per altri. È evidente che l’animale è, per molti aspetti, più
semplice e paziente di un essere umano, ma al contempo stimolante, reattivo,
emotivamente coinvolgente e può essere un buon partner già fin da bambini. Si tratta
però di utilizzare questa opportunità non solo in termini ludici e relazionali, ma per
l’interesse e la motivazione che può suscitare nel ragazzo a prendersi cura con
competenza di lui, sviluppando quindi apprendimenti e pratiche che possono far parte di
quel bagaglio di tecniche e conoscenze che egli può accumulare durante il suo percorso
formativo.

Ecologia e cura
La cosiddetta “educazione ambientale” ha ormai una storia pluridecennale se si
ricorda che già nel 1977 fu organizzata a Tbilisi una Conferenza internazionale a cura
dell’Unesco (Commissione Italiana per l’Unesco, 1981). Sicuramente oggi abbiamo
applicazioni a livello scolastico e sono sorti parchi, fattorie didattiche, associazioni che
propongono interessanti esperienze educative. Quindi molto è stato fatto ed è operativo.
Eppure solo in parte, si ha l’impressione, ciò costituisce un lascito duraturo e
interiorizzato per le giovani generazioni. Può il concetto di “cura ambientale” offrire un
contributo all’ulteriore approfondimento di questo campo applicativo? Può la cura
ambientale avere positive sinergie con le altre forme di cura e con il diventare soggetti
curanti?
Il concetto di cura, come si è visto, indica sia un “fare per” che una disposizione alla
sollecitudine e al costituirsi di un rapporto: tutti elementi questi che sembrano, almeno
in parte, mancare nelle attuali modalità di educazione ambientale. I ragazzi non si
prendono cura concretamente di uno spazio naturale, non lo fanno proprio, non
costituiscono quella familiarità e continuità che permetta di riconoscerlo e riconoscersi
intervenendo per contribuire al suo buon mantenimento, al suo equilibrio, al suo
crescere e ben-stare. L’emozione creata dalle attuali modalità occasionali di fruizione è
flebile e passeggera, per cui, come si è detto, ha poca rilevanza sulla
responsabilizzazione personale e sui comportamenti nel quotidiano. Perché non pensare
a qualcosa di più sistematico, all’adozione di un spazio naturale o urbanizzato (magari
con altri), per poi diventare più esperti e responsabili circa il suo mantenimento?
Vi è poi l’esigenza, anche in questo campo, di apprendere dall’esperienza, attraverso
pratiche che portino la natura in casa (ad esempio: l’orto da balcone) e che restituiscano
pulizia e vigore a spazi urbani e non urbani (ad esempio: giornate di lavoro volontario).
Dunque bisogna puntare ad acquisizioni più profonde e insieme più concrete attraverso
una pratica più continua e specifica verso un luogo che viene fatto proprio.

6. Promuovere la cura
Con la riflessione proposta in questo capitolo abbiamo cercato di evidenziare la
rilevanza che l’introduzione del concetto di cura potrebbe avere per superare difficoltà e
insufficienze che l’educazione e promozione della salute hanno continuato ad incontrare
anche nel momento in cui hanno cercato un approccio innovativo rispetto a quello
istruttivo e informativo tipico della prima fase dell’educazione sanitaria. Certamente la
proposta è in controtendenza rispetto agli andamenti “spontanei” assunti dalla
socializzazione (dominata dalla cultura dei media) e formazione scolastica (poco
incisiva e piuttosto frammentata) delle nuove generazioni nella contemporaneità.
Tuttavia l’attuale crisi di fondamenti, oltreché di pratiche e risultati, richiede, credo, di
lanciare nuove idee e progettualità che possano, potenzialmente, individuare un
cammino di uscita dalle insufficienze e insoddisfazioni per le modalità di
socializzazione e formazione scolastica contemporanee.
Relativamente al campo dell’educazione alla salute e all’ambiente, che costituisce
ancora un significativo patrimonio di pratiche ed esperienze nel nostro paese,
scarsamente valorizzato, questa proposta si propone di dare un nuovo slancio,
legittimazione e integrazione a diverse attività e intenzionalità educative che in ambito
scolastico, familiare ed extrascolastico si realizzano.

1 Per una rassegna critica si veda: Ragazzoni P. et al. (2007), Signani (2016).
2 Sul tema della promozione della salute nei contesti (setting) si v. il n° 4, 2008 di Educazione sanitaria e e
Promozione della salute. Sugli sviluppi recenti del movimento delle Health Promoting School v. Buijs,20153 In ambito pedagogico il tema della cura di sé, rivolto però soprattutto alla vita adulta, è stato sviluppato
da D. Demetrio (1996) e da F. Cambi (2010): si v. in proposito il cap. IV.
4 Successivamente, alcuni seguaci di Dunn, come John W. Travis e Robert Rodale, procedevano alla
fondazione del Wellness Resource Center di Mill Valley in California [1975] e davano sviluppo
applicativo alle idee di “wellness enhancement,” e “wellness promotion” nella vita personale e in
ambienti collettivi, come quelli di lavoro. Da parte sua, Donald B. Ardell ha sviluppato per oltre un
quarantennio un articolato progetto di personal wellness che ha avuto molto ascolto fra il pubblico
statunitense. Elizabeth Neilson, inoltre, aveva fondato, in quegli anni, la rivista Health Values: Achieving High Level Wellness (significativamente ridenominata American Journal of Health Promotion nel 1996),
che aveva dedicato a Dunn ristampando uno dei suoi saggi nella prima uscita. Per un’analisi del concetto
di wellness e dei suoi sviluppi si v. Ingrosso, 2014.
5 Rilevante è stato l’apporto di nuovi orientamenti sviluppati in ambito psicologico - come la psicologia
umanistica (A. H. Maslow, C. Rogers), la psicologia del benessere (C. D. Ryff, C.L.M. Keyes), la
psicosintesi (R. Assagioli), la psicologia trans-personale (K. Wilber), psico-neuro-immunologia - che
sviluppano i concetti di benessere emozionale, psicologico e sociale (per una trattazione e riferimenti
bibliografici si v. Zani e Cicognani, 2000), sottolineando altresì la dimensione relazionale, simbolica e
spirituale del benessere. Importante anche l’apporto di Aaron Antonovski (1979), coi concetti di
salutogenesi, capacità di coping e sense of coherence, come già ricordato.

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