Elisabetta Eugenia Amalia di Wittelsbach (detta Sissi) di Arianna Ghilardotti

Testo e immagini sono tratte da http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elisabetta-eugenia-amalia-di-wittelsbach/

Monaco di 1837 - Ginevra 1898

Il mito di Sissi, alla base di film e pacchetti turistici nonché di un massiccio merchandising, ha ben poco a che vedere con la vera Elisabetta di Wittelsbach. Nella realtà, la penultima imperatrice d’Austria fu una donna fuori dal comune in ogni senso, ombrosa e umorale, che trascorse la vita alla continua ricerca di se stessa, in preda a una “moderna” inquietudine esistenziale. La condizione di imperatrice, cui tentò sempre di sfuggire, la imprigionò senza scampo, precludendole di affermare la sua non comune intelligenza in un modo che non fosse dilettantesco. Non sopportava le cerimonie, odiava la rigida etichetta di corte e da un certo punto vi si sottrasse, partendo per lunghi viaggi.
Nell’ultimo decennio della sua vita, dopo il suicidio del figlio Rodolfo a Mayerling, trascorse a Vienna solo poche settimane all’anno; e nel corso di un viaggio, a Ginevra, morì assassinata da un anarchico, Luigi Lucheni.
Anche fisicamente aveva i tratti di una donna di oggi: alta 1 metro e 72 (una statura eccezionale per quei tempi), pesava meno di 50 chili. Probabilmente soffriva di una forma di anoressia: per mantenere la linea si sottoponeva a diete da fame, a lunghe marce forzate e a estenuanti esercizi ginnici (scandalizzando la corte, aveva fatto installare vari attrezzi tra gli stucchi dorati della Hofburg, la residenza imperiale a Vienna, dove sono tuttora visibili). Aveva una splendida capigliatura lunga fino ai piedi, la cui acconciatura richiedeva ore, e un vitino di vespa inferiore a 50 cm. Coltivava la sua bellezza con cura maniacale, spinta da un perfezionismo estetico del tutto fine a se stesso, visto che odiava “mettersi in mostra” nelle occasioni ufficiali.
Appena sedicenne aveva sposato l’imperatore Francesco Giuseppe, suo primo cugino (erano figli di sorelle). Al marito era legata da sincero affetto, ma non avevano nulla in comune; lei aveva una curiosità intellettuale vivacissima, mentre l’imperatore era un uomo metodico e tutt’altro che brillante, legato a un granitico senso del dovere. In tutta la sua vita Francesco Giuseppe aveva compiuto un unico atto fuori dagli schemi, quando si era innamorato a prima vista dell’adolescente Sissi e l’aveva sposata contro il parere della madre, al posto della sorella maggiore di lei, Elena, che gli era stata da tempo destinata; e malgrado tutto continuò ad amarla e a scusarla fino all’ultimo, pagando tutti i suoi capricci.
Amazzone straordinaria, perfettamente versata anche nella difficile tecnica del dressage, per un certo periodo la sua grande passione fu la caccia a cavallo, che praticava con foga inesauribile e una spericolatezza che rasentava l’incoscienza. Per un decennio fu totalmente assorbita dall’equitazione, poi di colpo se ne disamorò e si disfece di tutte le sue scuderie. Era fatta così: quando qualcosa l’appassionava vi si dedicava totalmente e ossessivamente, e poi, quando perdeva interesse, chiudeva il capitolo e non lo riapriva mai più. Con pari impegno e tenacia – e anche per prendere inequivocabilmente le distanze dal partito filotedesco dominante a corte, capeggiato dalla temibile suocera, l’arciduchessa Sofia – imparò l’ungherese e si adoperò attivamente per sostenere i diritti degli ungheresi, duramente repressi dopo le rivolte del 1848; fu anche grazie all’efficace opera di mediazione svolta da Elisabetta che si arrivò al cosiddetto “compromesso” del 1867, che garantiva agli ungheresi un parlamento separato e molti altri privilegi.
L’anima inquieta di Elisabetta trovò sfogo nel comporre poesie fin da ragazzina: ne scrisse centinaia, molte delle quali prendono violentemente di mira principi e cortigiani, in uno stile satirico modellato su quello di Heine. L’imperatrice dispose che i proventi delle poesie, destinate alle «anime del futuro» e depositate in Svizzera per essere pubblicate dopo il 1950, fossero impiegati per aiutare i perseguitati politici e le loro famiglie: un’estrema affermazione di libertà che testimonia ulteriormente la singolarità del personaggio.

Arianna Ghilardotti

Lavora come redattrice di testi e traduttrice dall'inglese, francese, tedesco e spagnolo per diverse case editrici; ha tradotto, tra l'altro, libri di J-P. Vernant, M. Detienne, J. Ziegler.
Collabora regolarmente ai programmi dei Teatri alla Scala e La Fenice e a cataloghi di mostre. È esperta di genealogia, storia delle dinastie e letteratura vittoriana.

 

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